Giovanni ha acquistato a prezzo libero in un piano di zona, quindi con vincolo di cessione. Quando ha intentato causa per il risarcimento, la venditrice ha iniziato la pratica per l’affrancazione e il tribunale ha bloccato tutto.
uando, nel maggio 2015, Giovanni Veloce ha deciso di acquistare una casa, non poteva minimamente immaginare a cosa stava andando incontro, in quale tunnel burocratico si stava volontariamente incamminando. Una compravendita da 550.000 euro a Casal Boccone, piano di zona 14 nel III Municipio, si è trasformata in un incubo.
Un immobile acquistato a caro prezzo in un piano di zona
L’immobile, 130 metri quadri su due piani con box e posto auto scoperto in una delle strade principali del quartiere, doveva essere un regalo per il figlio ingegnere, un premio per l’eccellente percorso di studi. Un regalo forse un po’ caro, visti gli oltre 4.000 euro a mq in una zona periferica e lontana dalla metropolitana, ma non è questo il fulcro della storia. Di lì a poco, infatti, la situazione familiare dei Veloce e anche quella normativa sul mercato immobiliare romano sarebbero cambiate drasticamente. Sul primo fronte, il giovane due mesi dopo l’atto di acquisto ottiene un impiego dall’altra parte del mondo, in Cile, dove tuttora risiede. Sul secondo, a settembre 2015 la Corte di Cassazione a Sezioni Unite posa una pietra miliare in quello che è il caos relativo ai vincoli di prezzo massimo per gli immobili costruiti nei piani di zona: tale vincolo non si estingue se non con il pagamento di un indennizzo, trascorsi 5 anni dal primo acquisto, quindi dal primo passaggio di proprietà che sostanzialmente è tra la cooperativa edile che ha realizzato l’immobile e il primo abitante. Entrano dunque in gioco le affrancazioni.
La causa iniziata nel 2017 per ottenere il risarcimento
Giovanni, 69 anni, ex ufficiale dell’Aeronautica militare e per quarant’anni controllore di volo, a maggio 2015 mentre firma il rogito davanti ad un notaio e alla venditrice, non sa che sull’appartamento pende un vincolo. Il valore reale della casa sarebbe poco superiore ai 172.000 euro, lui ne paga quasi 380.000 in più. “L’ex proprietaria si è da subito rifiutata di pagare l’affrancazione – spiega Veloce a RomaToday – perché sosteneva spettasse solo a me. Ho tentato di tutto, anche proponendo quattro mediazioni, senza successo. Quindi, per vedere tutelati i miei diritti, ho intentato una causa, era il 2017”. A quel punto la controparte, vista anche la novità della legge 136 del 2018, presenta al dipartimento urbanistica un’istanza di affrancazione ordinaria. E questo è un particolare da tenere a mente.
La pratica lumaca rende improcedibile la causa
“Era il 2019 – continua il pensionato – e la legge uscita poco prima, che non fa per nulla chiarezza sul tema perché non specifica le tempistiche entro le quali si dovrebbe ottenere l’affrancazione, ha dato modo alla controparte di rendere improcedibile la mia causa. Infatti a dicembre 2021 il tribunale civile ha emesso una sentenza che, pur riconoscendo che la vendita è stata effettuata ignorando il vincolo di prezzo massimo, mi impedisce di rivendicare il risarcimento della differenza di prezzo”. E infatti la legge 136 ad un certo punto dice: “L’eventuale pretesa di rimborso della differenza – citiamo il testo – a qualunque titolo richiesto, si estingue con la rimozione dei vincoli”. Giovanni vorrebbe vedere rimosso il vincolo dall’immobile di cui il figlio è proprietario, per poterlo rimettere sul mercato a prezzo libero o eventualmente locarlo. “Ma non posso farlo – ribadisce – e questo per me è un danno economico”.
Fonte: RomaToday